La capacità di raccogliere e analizzare i dati è tra le competenze che un’impresa deve avere per rimanere competitiva. Solo poche aziende, soprattutto tra quelle piccole e medie, hanno dipendenti dediti all’analisti dei dati. I servizi di analisi dati e di analisi predittive sono il cuore della società Revolt BI, socio Camic. Abbiamo parlato di questi temi con Giuliano Giannetti, fondatore e CEO della società.
Sulle vostre pagine web si parla spessa di una “cultura dei dati”. Che cosa ci si può immaginare sotto questa espressione?
«I dati acculturano le imprese introducendo la trasparenza nel loro funzionamento. E questo si vede nelle fasi decisionali del management. Accade ancora spesso che i dirigenti decidano sulla base dei loro pareri, impressioni e stime. È paradossale, ma quanto più la decisione è strategica tanto meno, tendenzialmente, un’impresa ha i dati necessari per decidere. Se l’impresa comincia a usare i dati, solitamente all’inizio c’è la volontà dei dirigenti di verificare la correttezza delle proprie decisioni. Questo approccio, che possiamo anche chiamare cultura, aiuta poi a formulare un business plan e a quantificare i ricavi, le perdite o gli utili attesi. La cultura dei dati aiuta a seguire, usando solamente i numeri, le performance dell’azienda. Ciò da una parte libera del tempo ai dirigenti, che non sono così impegnati nel controllo dei propri sottoposti, dall’altra permette di individuare tendenze e andamenti di sviluppo. Ad esempio, spesso le imprese non sanno precisamente quali prodotti le fanno guadagnare e quali invece perdere denaro. La cultura dei dati è pertanto un cambiamento della mentalità dei dirigenti delle imprese. Un caso tipico: in assenza di dati, i dirigenti litigano su cosa si potrebbe fare meglio e sulle opinioni reciproche. Al contrario, quando i dati ci sono, i dirigenti si concentrano sui possibili miglioramenti e i loro costi».
E voi come azienda in che modo vi inserite nella creazione di questa cultura dei dati?
«Noi possiamo inserirci a diversi livelli. I progetti più importanti che abbiamo seguito, e sono questi i casi di ribaltamento a cui rimanda il nome dell’azienda, hanno riguardato le imprese che partivano da zero. In questi casi creiamo una vera infrastruttura dei dati, comprese le modalità di raccolta. Molte imprese spendono grosse cifre per acquistare tecnologie IT, ma poi non sono capaci di trarre dati da queste tecnologie e non hanno neppure un personale adeguato. Quando si crea all’interno dell’azienda un nuovo gruppo di business intelligence, bisogna saper attirare persone che hanno le competenze del personale IT e quindi sanno, ad esempio, automatizzare i processi, accompagnate dalla capacità di far aumentare i ricavi e i guadagni. E questo cambiamento di mentalità richiede di specificare che cosa bisogna misurare, in che modo e con quali finalità. La nostra impresa presta supporto in questa fase e aiuta a costituire i sistemi di raccolta e analisi dei dati».
Esiste un qualche genere di dati che le imprese tendono a sottovalutare?
«È difficile generalizzare. Ad esempio nelle attività retail uno dei problemi è costituito dal fatto che i dati vivono solo nelle loro riserve. La sezione di marketing si dedica ad acquisire nuovi clienti, la sezione commerciale guarda ai ricavi ma non arriva a considerare i margini o la soddisfazione dei clienti. Un altro problema può sorgere dall'impostazione. Ad esempio, si rivolge a noi un’impresa con la richiesta di elaborare un modulo che permetta di creare messaggi mirati su certe categorie di clienti. Nel corso del progetto veniamo però a sapere che solo una minima parte dei clienti lascia all'azienda un indirizzo di e-mail valido. La priorità sarebbe quindi quella di aumentare la qualità dei dati e scoprire perché i clienti hanno remore a lasciare un recapito all'azienda. La maggioranza delle aziende del nostro settore segue soltanto la nicchia specifica - in cui è specializzata - e non scopre quindi il problema di fondo, che spesso riguarda la gestione o l’impostazione dei processi. Noi invece cerchiamo questo genere di problemi per risolverli».
Qual è il suo giudizio sulle analisi predittive nella gestione aziendale?
«Se dieci anni fa qualcuno avesse cercato di stimare il numero degli iPhone venduti, sarebbe probabilmente arrivato alla conclusione che le prospettive di vendite di questi oggetti non sono molto promettenti. In genere è difficile fare predizioni per nuovi prodotti di rottura, che tuttavia hanno un impatto importante sull'economia, in quanto abbiamo pochi dati su cui appoggiarci. Nelle decisioni strategiche bisogna quindi disporre di una visione che non può essere sostituita dai dati, ma che, una volta formulata, raccolga i dati e quindi verifichi la validità e la fattibilità della visione».
Quando le imprese ricorrono ai vostri servizi?
«Questo capita, in genere, in due situazioni. Nel primo caso, le imprese si rivolgono ai nostri servizi quando decidono sui grandi investimenti o quando sono in procinto di acquisire una nuova società e i proprietari hanno bisogno di sapere come questa funzioni. L’altro caso tipico sono le innovazioni. Generalmente le categorie di impiego dei dati all'interno di un’azienda sono le seguenti: trasparenza dei processi interni, automazione, suddivisione in categorie con una migliore targhettizzazione e infine ottimizzazione dei processi. È incredibile, ma ancora oggi ci capitano casi di automazione dei servizi di reporting che vengono eseguiti ancora in molte aziende su fogli Excel. E questo capita anche in grandi imprese e banche».
Quanto dura in media un vostro progetto?
«Come ho detto, il data driven management, ossia la gestione aziendale tramite l’utilizzo dei dati è una questione di impostazione mentale. La durata del progetto dipende quindi dalla grandezza e complessità dell’azienda. Ci sforziamo affinché il nostro progetto continui ad avere un impatto strategico sul cliente anche una volta concluso. Solitamente operiamo affinché le imprese prestino attenzione ai dati, ma alla fine sono i dipendenti dell’azienda a creare valore tramite il loro lavoro con i dati. Perciò ci impegniamo a trasmettere i report agli utilizzatori concreti, che sono il motore interno di ogni azienda. In seguito collaboriamo con i nostri clienti alla risoluzione di casi concreti, che richiedono competenze assai specifiche. In questi casi ai clienti non conviene più creare nuove capacità nel perimetro aziendale. La nostra collaborazione quindi dura alcuni mesi o anni».