Dopo più di cinque anni a capo dell'Istituto Italiano di Cultura a Praga, Giovanni Sciola lascia la direzione del centro in via Vlašská. In questi anni il Direttore Sciola si è guadagnato la stima e il rispetto dei partner cechi, della comunità italiana e del mondo culturale praghese. Il successore, che arriverà a fine agosto, dovrà confrontarsi con un fervente clima culturale. Pochi giorni prima del suo rientro in Italia abbiamo posto a Giovanni Sciola alcune domande.
Direttore Sciola, quali sono gli interventi più importanti che hanno marcato il suo soggiorno nella capitale boema?
«Il primo evento che voglio ricordare è il Festival del Cinema, che era presente nell’area dell’Est Europa, ma a Praga e in Repubblica Ceca mancava. La prima edizione è stata organizzata con pochi mezzi, ma poi il festival è cresciuto. Tra gli altri ci sono alcuni eventi musicali, come il concerto dell'Orchestra de La Scala all'Obecní dům. Ricordo la fatica con la quale l'abbiamo organizzato, e anche l'azzardo di partire senza avere, di fatto, il budget. Ma in un lavoro come questo, se fai prevalere le ragioni del no, tutto diventa quasi impossibile. Sono stati memorabili anche i festeggiamenti del 400esimo anniversario della consacrazione della Cappella dell'Istituto alla presenza dei Ministri della Cultura dei due Paesi. E poi ci sono le molte mostre nel nostro Istituto, tra cui vorrei menzionare Praga 1968 dello scorso anno».
Quali sono i rischi che corre un direttore a comando dell'Istituto Italiano di Cultura?
«C 'è un grosso rischio ed è quello di pensare di imporsi nei rapporti con i partner locali. Ed è un rischio molto marcato il non capire la situazione del Paese e voler imporre il proprio status. Io ho cercato sempre di pensare che sono comunque un ospite. E ovviamente ho provato un certo sgomento rispetto alla grandezza e al peso storico dell'Istituto e della sua sede. Si corre quindi anche il rischio di barricarsi dentro il castello. Per questo motivo ho cercato di sfruttare al massimo la struttura, ma anche organizzare eventi fuori, a Praga e in tutta la Repubblica Ceca».
Oggi come sono i rapporti culturali tra l'Italia e la Repubblica Ceca?
«I rapporti sono molto buoni e cordiali, anche grazie a quella premessa di non imporsi. Io ho trovato sempre le porte aperte nelle istituzioni a cui mi sono rivolto. Abbiamo sottoscritto anche un accordo culturale, che sul fronte italiano comporta anche dei finanziamenti per eventi culturali, alle scuole o a progetti comuni. Considerato che il nostro budget per la cooperazione culturale è più basso rispetto agli altri grandi paesi europei, come Germania e Francia, abbiamo il vantaggio di poterci rivolgere a enti locali, come comuni o regioni, che vogliono svolgere attività sul territorio. E questo è un vantaggio, che va oltre gli aspetti di bilancio».
Nel corso di questi cinque anni l'Istituto ha cercato di collaborare anche con le aziende italiane e italo-ceche. Come valuta questa collaborazione?
«Guardando anche alle iniziative recenti, sicuramente si tratta della comunità imprenditoriale con cui ho lavorato meglio. Il primo gradino è stato il Festival del cinema, a cui è seguita la promozione dei territori e molto altro. Ho trovato molti imprenditori sensibili alla cultura. D'altra parte anche noi siamo stati capaci di proporre eventi culturali all'altezza delle aspettative di qualità, impatto e visibilità che possono avere un grande gruppo industriale, un'importante banca o una compagnia di assicurazioni».
Dopo circa 25 anni di servizio nella diplomazia culturale lei torna a essere un privato cittadino. Ha già qualche piano per il futuro?
«C'è un'idea con alcuni miei colleghi che si trovano in una situazione simile alla mia, ossia di salvare il know-how consolidato in questi anni. Chiudo quindi il mio rapporto con il Ministero degli Esteri, ma mi piacerebbe poter continuare, da privato, a lavorare sui rapporti culturali, data l'attenzione verso l'Italia che ho sentito nei paesi in cui ho vissuto».