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28.02.2016

Sedi all’estero: gli imprenditori imparino a tutelarsi

Giovedì 25 febbraio si è svolto a Praga il seminario sui temi dell'esterovestizione e del transfer pricing, che riguardano molto da vicino gli imprenditori italiani attivi sia in Repubblica Ceca che in Italia.

L'amministrazione fiscale italiana giudica con grande severità i rapporti tra le società residenti in Stati differenti. In generale il fisco italiano tende ad aggiungere alla base imponibile della società italiana il reddito realizzato da quella estera, controllante o controllata, contestando la sede legale fuori dai confini italiani.

“Per valutare l'effettiva sede legale della società, l'Amministrazione fiscale prende in esame la sede legale formale, il luogo e l'oggetto delle attività nonché la sede degli organi di amministrazione – sottolinea Luca Savino, partner di Savino & Partners – In questo caso viene applicata la presunzione relativa, per cui è l'imprenditore a dovere dimostrare che la sede legale estera non sia solo formale ma anche sostanziale. I casi più controversi riguardano la composizione del consiglio d'amministrazione. Infatti qualora la maggioranza dei componenti risieda fiscalmente in Italia, il fisco italiano potrà considerare anche tale società residente in Italia”.

Una misura di tutela consigliata è quindi di inserire negli organi di governance persone residenti fiscalmente nello stato in cui risiede la società. La maggior parte dei problemi può sorgere in caso di piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, nei cui organi figurano imprenditori attivi e residenti in Italia. “Soprattutto in queste aziende l'idea di lasciare le redini a terzi è spesso problematico – dice Luca Savino – Non volendo nominare un amministratore straniero, l'imprenditore dovrà conservare tutta una serie di documenti necessari per provare, anche fra quattro o cinque anni, che l'amministrazione della società sia avvenuta realmente all'estero”.

Ovviamente un problema simile si pone anche per le aziende italiane controllate dalle società estere. In questi casi è molto importante avere delle regole chiare e stringenti sui rapporti tra le società del gruppo, che possano dimostrare che le due società sono entità autonome. “Con la presunzione della sede in Italia anche la società estera controllante potrebbe diventare residente fiscalmente” aggiunge Luca Savino.

Un altro tipo di rapporti sotto stretto controllo sono le transazioni tra le società considerate dello stesso gruppo. In questo caso il fisco controlla che il prezzo delle transazioni sia adeguato ai valori di mercato, affinché non avvenga una elusione fiscale. “Per prevenire possibili rilievi, l'imprenditore deve preparare tre documenti: il masterfile e i due countryfile – aggiunge Luca Savino – Nei documenti è descritta la struttura del gruppo e delle operazioni interne e viene analizzato il prezzo della singola transazione. Nei file devono essere evidenziate anche le eventuali ragioni per cui non si applicano prezzi di mercato. Si può trattare ad esempio di specificità e personalizzazioni del prodotto, che ne aumentano il valore rispetto allo standard di mercato”.

Un altro aspetto toccato dal seminario sono stati gli aspetti penali. In Italia è prassi comune che i reati di natura tributaria vengano giudicati in parallelo dai tribunali amministrativi e da quelli penali, per cui si dà luogo a due procedimenti che paradossalmente possono arrivare a esiti diversi e contrapposti. “L'Italia ha subito molte condanne da parte della Corte Europea per i Diritti Umani – sottolinea l'avv. Massimiliano Lisi dello studio legale N-C.S. - Tuttavia i tribunali nazionali, compresi la Corte costituzionale, hanno continuato ad accettare questo tipo di procedura adducendo come motivo il contrasto di attività criminali. Nel caso di reati tributari, i pubblici ministeri ricorrevano spesso al precetto di elusione codificata, che però è un puro costrutto giuridico. Inoltre, nei processi per reati tributari, veniva in sostanza meno la presunzione d’innocenza, in quanto, seguendo a cascata la logica del procedimento tributario, veniva di fatto chiesto all'imputato di dimostrare la propria innocenza”.

Il contesto è stato migliorato da un recente intervento dei legislatori. “Il nuovo articolo 10bis dello Statuto del Contribuente chiarisce quali casi siano da considerare illeciti amministrativi e quali invece reati penali – illustra ancora l’Avv. Lisi – Il nuovo articolo quindi rappresenta un leggero miglioramento, la cui reale portata rimane ancora da valutare. Oltre la legge deve cambiare anche l'atteggiamento delle procure”.

Tuttavia non sempre la giustizia si rileva completamente vessatoria e persecutoria. Ne è la dimostrazione il caso, conclusosi con l'assoluzione, degli stilisti Dolce e Gabbana, accusati di omessa dichiarazione in riferimento società lussemburghese Gado, che detiene la proprietà del marchio della maison milanese. Il Fisco italiano considerava Gado residente fiscalmente in Italia, in quanto aveva amministratori italiani e veniva guidata dall'Italia. “La Suprema Corte ha riconosciuto che la costituzione di una società in stati con legislazione fiscale più favorevoli non sempre determina un reato tributario – sottolinea l'Avv. Lisi – Inoltre ha riconosciuto che tale operazione potesse essere giustificata da necessità economiche e organizzative, come ad esempio la quotazione in borsa o una maggiore attrattiva per gli investitori. Si tratta di una sentenza molto importante e molto argomentata, che sarà difficile smontare”.

Sembra quindi che anche in Italia l'atmosfera stia leggermente cambiando. “Sono cautamente ottimista anche perché i cambiamenti positivi ci sono chiesti da organismi internazionali, ai quali l'Italia non può sottrarsi facilmente”, conclude l'avv. Lisi.

Fonte fotografia: Archivio Camic

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